Di una superficie piana, enigmaticamente ricoperta di solo colore, della libertà che ogni volta la ispira e poi la segue, oggi risentiamo l’urgenza, la necessità, come fosse quella di un antidoto alle troppe immagini, allo sciocchezzaio universale, a questo grottesco imperativo di massa del mostrarsi, del farsi vedere, a quest’emorragia di figure che si riversa dappertutto. Da tutto ciò, dunque, astrarsi?
È questa la parola chiave.
Perciò, se nella mente di un critico d’arte affiorano – un termine che c’entra parecchio con questa mostra – e poi volteggiano immagini e parole, a loro piacimento spesso, adesso non chiedetemi il perché, né da quale deposito interiore e forse irreale mi sia tornato in mente il vecchio
Vasilij osservando, per la prima volta, dunque registrando ciò che mi dicono nel loro specifico e immediato accadere, i quadri di un giovane artista di oggi come Emanuele Antonelli, romano benché girovago,classe 1990.
Marco Di Capua